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D.I.P.M.A. U.D.001: come obbligare i militari a scegliere tra lavoro e famiglia.

07-11-2022

A seguito delle sempre più numerose segnalazioni da parte dei nostri iscritti, abbiamo deciso di esaminare, da un punto di vista giuridico e di legittimità, quanto disciplinato dalla recente Direttiva D.I.P.M.A. U.D.001 edizione 2022 in tema di “Ricongiungimento familiare”e “Assegnazione temporanea entro il terzo anno di vita del minore”.

Al punto "F" del paragrafo 7 (Ricongiungimento familiare) è regolamentato l'istituto giuridico disciplinato dall’art. 17 della L. 266/1999 che attribuisce al coniuge del militare, nel caso di trasferimento di quest’ultimo, il diritto ad ottenere il trasferimento per ri-congiungere una famiglia già convivente e successivamente divisa dalla movimentazione del militare. La direttiva A.M. ha sì il merito di prevedere il ricongiungimento del militare al coniuge (se appartenente alle Forze Armate o alle Forze di polizia ad ordinamento militare e civile oppure dipendente civile della Difesa) e “indipendentemente dall'essere stato quest'ultimo trasferito o meno”, ma definisce l’istituto del ricongiungimento familiare come un “beneficio” e non per quello che è, ovvero un diritto previsto da legge. Inoltre, la disposizione di cui all’art.17 non impone alcun limite né requisiti specifici per avanzare istanza di ricongiungimento, al contrario di quanto invece ha stabilito la D.I.P.M.A. per cui la concessione del beneficio è subordinata alla presenza di posizioni organiche vacanti in linea con il Grado/Ruolo/Categoria/Specialità/qualifica ed eventuale abilitazione. Come se non bastasse, stabilisce anche che “l’istanza può essere formulata solo ed esclusivamente” dal militare che abbia maturato un periodo minimo di permanenza al Reparto di 3 anni in caso di trasferimento e di 5 anni in caso di 1ª assegnazione. Oltre a ciò, prevede pureil divieto, illegittimamente punitivo e sanzionatorio, di ripresentare istanza se non siano decorsi 24 mesi nel caso di rifiuto della terza sede proposta dalla stessa Amministrazione.

Dunque, risulta del tutto evidente come queste limitazioni siano oltremodo lesive della sfera privata soggettiva dei militari e, in particolare, del personale più giovane (questione rilevante per il caso di prima assegnazione), con la conseguenza che la disposizione emanata dall'Amministrazione rischia di ostacolare proprio quei militari in piena età genitoriale. Così che, mentre la nostra amata Costituzione tutela il nucleo familiare e la politica è alla ricerca di soluzioni per la preoccupante crisi demografica italiana, lo Stato Maggiore dell'Aeronautica ostacola l'unione familiare del proprio personale. Eppure, nella Direttiva D.I.P.M.A. U.D.001 del 2020 non erano stati previsti insensati requisiti per il ricongiungimento familiare. Quest’anno, invece, talune brillanti menti, onde evitare presunti abusi, hanno ben pensato di introdurre una serie di limitazioni al beneficio, anziché denunciare, come previsto, le specifiche violazioni messe in atto dai singoli. Come se riassegnare il militare al Reparto di provenienza al cessare dell’unione di fatto/civile non fosse un deterrente sufficiente agli eventuali abusi.

Risulta, poi, ancora più assurdo considerare necessario porre dei periodi minimi di permanenza presso il nuovo Ente per garantire una “parità di trattamento” rispetto ai celibi e alle nubili e a chi non è unito con altri militari. È evidente come sia senza senso e privo di logica paragonare la necessità di unione del nucleo familiare con le necessità di una persona non coniugata! Non bastasse, per quanto attiene, invece, la parità di trattamento con le coppie costituite da militari: a che pro e in nome di quale fantomatico ideale di parità viene deciso di porre paletti a un ricongiungimento che, di fatto, è facilmente gestibile, dato che i trasferimenti dei militari sono disposti da un unico e solo soggetto, ossia dallo stesso Ministero della Difesa?

Ancora più preoccupante, se possibile, è quanto previsto dal successivo punto "G" del paragrafo 7 della medesima direttiva (assegnazione temporanea entro il terzo anno di vita del minore). In merito all’applicazione dell’art. 42 bis del D.lgs. 151/2001 (Testo unico sulla maternità e paternità, che si applica a tutti i dipendenti della pubblica amministrazione, militari compresi), la circolare U.D.001 prevede dei requisiti non riscontrabili nella normativa di legge. Infatti, quali presupposti per l’assegnazione temporanea sono previsti il rispetto delle esigenze funzionali, organiche ed operativedella F.A. e la compatibilità “con le vacanze organiche nel Grado/Ruolo/Categoria/Specialità/qualifica ed eventuale abilitazione presso la sede di destinazione del militare istante”. È bene che la nostra fantasiosa dirigenza si rilegga con più attenzione l’art. 42 bis citato, il quale prevede sì il posto vacante e disponibile, ma è sufficiente che sia corrispondente alla posizione retributiva e null'altro. Va inoltre sottolineato che lecircolari interne emanate dall'Amministrazione non hanno natura normativa e dunque non possono derogare alle normative di legge. E in ogni caso, facciamo notare che stiamo parlando di consentire la vicinanza del genitore al proprio bambino per soli tre anni: basterebbe semplicemente assegnare il militare in extra organico per permettergli di seguire il figlio nei suoi primi tre anni di vita, i più importanti per lo sviluppo mentale e psico-fisico dei bambini e tra i più impegnativi per quanto attiene la gestione familiare.

Insomma, l’Amministrazione ha incomprensibilmente deciso di penalizzare la vita familiare dei militari alimentando una volta di più il dubbio che sia oggettivamente disinteressata al benessere e ai diritti effettivi del proprio personale. È inoltre paradossale che il Ministero della Difesa pubblicizzi quanto il suo operato garantisca la sicurezza del Paese e assicuri la legalità, la democrazia e i diritti fondamentali dell'uomo e poi neghi quegli stessi diritti al proprio personale. Pur essendo una istituzione dello Stato si comporta come il peggiore dei datori di lavoro, imponendo arbitrariamente norme restrittive e costringendo i propri dipendenti, in particolare il personale femminile, a scegliere, di fatto, tra lavoro e famiglia, tra servire lo Stato e accudire i propri figli.

Come SIAM sollecitiamo i vertici dell'A.M. a revisionare il testo della D.I.P.M.A. U.D.001 riallineandolo alle prescrizioni di legge e, nelle more di ciò, rimaniamo come sempre a disposizione dei colleghi che, vedendo negato i propri diritti soggettivi, decidano di richiedere consulenza e supporto legale al nostro sindacato.

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